| SOURCE DU DIABLE 1996(Pubblicato sugli atti del congresso UIS in Svizzera)
Non avevo mai sentito parlare della sorgente del Diable. Un giorno, un amico francese, Jean Louis Camus, mi telefona e mi lancia lo zuccherino: egli l'ha già esplorata fino ad una profondità di tutto rispetto e per ingolosirmi ancor di più mi spedisce via fax lo schizzo topografico della sua sezione con le sagomine degli speleosub disegnate dentro; uno è lui, l'altro sono io. La profondità massima raggiunta fino a quel momento è di -87m. e la continuazione presuppone una preparazione accurata del materiale, dei gas, dei tempi di decompressione, ecc. La mia esperienza fino a quel momento ha già compiuto una certa strada: avevo cominciato ragazzino sedicenne entusiasta con le immersioni nel lago poi, crescendo, per poter coltivare meglio la mia passione ero entrato a far parte per tre anni di un reparto speciale come sommozzatore militare dopo aver superato vari test attitudinali fisici e psichici. Per una fortunata combinazione avevo conosciuto J.Jacques Bolanz e l'universo della speleologia subacquea era sorto al mio orizzonte. Fiero dei miei precedenti, pensavo che il mio cammino sarebbe stato breve e tutto pianeggiante per arrivare in breve ad emulare il mio nuovo amico. Avevo assistito alla sua immersione in miscela al Gorgazzo, dove lui aveva superato i -100m. e ritenevo che in poco tempo egli mi avrebbe consegnato i segreti dei calcoli per le immersioni profonde nelle grotte. Mi sbagliavo: dovevo farmi le ossa anche nel nuovo campo e ciò consisteva nel seguire il grande capo (ormai così lo consideravo) aiutandolo, osservandolo, discutendo con lui, ed accontentandomi di profondità meno ragguardevoli. I miei metri in più li guadagnavo rimuginando e meditando sui nuovi ambienti in cui mi immergevo spesso diversi tra di loro per morfologia e condizioni ambientali; talvolta commettevo errori più o meno gravi e talvolta devo ringraziare la dea bendata per esserne uscito bene. Qualunque sia l'errore, dal più banale a quello che, se ne esci, è solo perché non è il tuo momento, deve essere sfruttato per mitigare la troppa fiducia che si ha nelle proprie capacità fisiche, psichiche, cognitive, e per rimettere tutto sul tavolo della discussione. Così ho maturato sia un profondo rispetto per l'ambiente naturale, inesorabile quando, impreparati, si sfidano i suoi confini, sia una disposizione critica nei confronti delle esperienze che costruivo, giorno dopo giorno, immersione dopo immersione, con una tranquillità sempre più consapevole. La sorgente del Diable si trova in Francia nella zona del Vercor la portata dell'acqua è piuttosto costante tranne in rari casi di grandi piogge continue che ne aumentano lentamente la corrente fino a renderla impraticabile. La sua esplorazione iniziò nel 1968 da Robert Jean e Guy Sevenier che raggiunsero i 330m di distanza alla profondità di -50m, venne ripresa da Fredo Poggia nel 1976 e nel 1981 e da Jean Louis Camus nel 1994 : la profondità massima raggiunta fu -87 a circa 500m dall'ingresso. Dal punto in cui si lascia la macchina bisogna percorrere un centinaio di metri di sentiero in discesa, per raggiungere l'ingresso della grotta sbarrato dal solito, almeno per gli speleo, sgradevole cancello. L'acqua che esce fra le sbarre dell'inferriata, percorre ancora 5m prima di precipitare con un salto di una ventina di metri nel fiume sottostante. Decido di partire per la mia prima esplorazione il giorno 01 - 05 - 1996, dopo essere stato tranquillizzato da J.Louis Camus, sull'inefficacia delle condizioni meteo per la praticabilità di un'immersione avanzata. In effetti, nella mia regione, le continue pioggie avevano gonfiato tutte le sorgenti impedendo di effettuare immersioni significative. Con le indicazioni fornitemi da J. Louis Camus raggiungo Choranche nel Vercors e mi dirigo, appunti in mano, alla grotta dove ci siamo dati appuntamento. Dopo aver percorso un tratto di strada sterrata, questa finisce e da qui parte il sentiero che porta all'ingresso. Non conoscendo il posto e non trovandovi nessuno, decido di fare una retromarcia e cercare altrove. Con la mia jeep stracarica di materiale, la visibilità posteriore mi è concessa solo dagli specchietti esterni. Abbasso il finestrino per sporgermi a guardare indietro pensando che il mio compagno faccia altrettanto. Inizio la retromarcia e dopo circa 5m. in prossimità di una leggera curva, dalla parte dove non ho visibilità esco con due ruote dalla carreggiata e mi trovo con l'auto che scivola per metà completamente fuori e non si ribalta per benignità della sorte. Valerio, il mio compagno di viaggio e di avventura, che non era stato pronto ad avvertirmi del pericolo, in compenso, veloce come la luce, schizza all'esterno dell'auto uscendo dal mio lato, unica via di fuga apparentemente sicura: la vacanza è cominciata nel migliore dei modi. Mi avvio sulla strada per cercare aiuto ed un temporale, adatto all'occasione, si scatena. Dopo qualche minuto di ricerca incontro con sollievo, J.Louis Camus con Marc Cotin, Jean-Claude Pinna e Daniel Andres: Jean-Claude ha una Jeep con montato un verricello. Perfetto: con questo mezzo molto adatto torniamo alla mia auto, la vuotiamo dei circa 1000kg di materiale e poi, senza problemi la recuperiamo. Approfittiamo del fatto di essere già sul posto per trasportare una buona parte del materiale e delle bombole lungo il sentiero che porta alla sorgente, un centinaio di metri di lunghezza circa, resi scivolosi dalla pioggia. Alla sera, in tutta tranquillità, esaminiamo nei dettagli il cosa ed il come sia conveniente preparare in relazione all'immersione. J. Louis Camus mi descrive il sifone come privo di strettoie; in alcuni punti tuttavia, afferma che è meglio tenere sulla schiena 2 bombole da 20l piuttosto che tre. Valuto attentamente il fatto che J. Louis Camus abbia usato 4 bombole da 20l, e decido che mi immergerò, per fare una ricognizione, con tre bombole da 20l, due delle quali sulla schiena caricate con un 20% di He, ed una fissata davanti con aria. Con una bombola da 15 l. caricata con miscela iperossigenata, raggiungerò i -40m, poi, con l'aria, andrò fino circa a -60m dove potrò lasciare la bombola in un posto comodo, una specie di finestra, e da qui fino al termine della mia autonomia, con le altre due bombole. Durante la notte un forte temporale si scatena sulla zona, ma al mattino, una giornata limpida ci attende. Raggiunta la sorgente, osserviamo che il livello si è alzato di qualche centimetro: J. Louis Camus, che la conosce meglio di tutti, si adopera per placare le mie esitazioni sulla possibilità di portare a termine una fruttuosa immersione. Mentre preparo l'attrezzatura rimugino se sia saggio immergermi, considerato che avrò circa 3 ore di decompressione e nessuno fra i presenti, conosce il tempo di risposta della sorgente dopo violenti temporali. Tergiverso per un paio di ore, mi godo il panorama, invento piccole occupazioni e chiacchere: nel frattempo i compagni solerti si sono impegnati ed hanno trasportato le due bombole che intendo utilizzare già assemblate portandole sulla schiena, fino all'inizio del primo sifone che dista un centinaio di metri dall'ingresso. Alcuni mi trasportano le bombole di O2 puro, per la decompressione, alle profondità da me indicate; per le tappe più profonde, ho intenzione di usare una miscela iperossigenata al 40% . Sono circa le 11h30' quando raggiungo il primo sifone, indosso le bombole e mi immergo: è lungo una decina di metri, lo supero e mi incammino con l'attrezzatura che mi decora come un albero di Natale, verso l'inizio del secondo sifone a circa trenta metri. Il gruppetto degli amici volonterosi mi aspetta qui per aiutarmi. Il primo sifone si può bypassare percorrendo uno scomodo ramo aereo, ragion per cui risulta più agevole trasportare il materiale lungo il sifone. Chiedo se tutte le bombole sono state collocate nella posizione indicata e, alla conferma, completo il mio abbigliamento e parto. La corrente sostenuta è fastidiosa considerando il volume ingombrante delle quattro bombole che indosso. Mentre percorro il sifone riconosco, dalle descrizioni ascoltate, solo i punti principali: la fantasia, che mi aveva in anteprima presentato una visione suggestiva del percorso, raccogliendo le immagini suggerite dalle descrizioni di chi già c'era stato, rimane spiazzata dall'incontro con la realtà, superiore per bellezza a qualsiasi aspettativa: forme magiche, roccia chiara, acqua limpida con mille riflessi. Raggiunti i -40m lascio la prima bombola ed accellero la mia velocità di progressione. Entro in un canyon roccioso di modeste dimensioni; mi accorgo che usare tre bombole da 20l sulla schiena sarebbe poco vantaggioso per le dimensioni di alcuni passaggi; alla fine del canyon si arriva ad un passaggio in interstrato: a circa -60m. incontro qualche difficoltà quando la bombola che uso come relè, si impiglia nel filo; mentre la libero, la visibilità si riduce velocemente per l'argilla che, sempre in maggiori quantità, si stacca dal soffitto. Decido, dopo aver liberato la bombola dal groviglio, di abbandonarla lì. Proseguo stavolta più veloce, con solo due bombole; dopo una trentina di metri raggiungo la zona, descrittami da J. Louis Camus, comoda per lasciare la bombola relè. Da qui si raggiunge velocemente la bella condotta forzata che, mantenendo per un centinaio di metri la quota di -84m., porta al punto massimo dell'esplorazione a 500m circa dall'ingresso del sifone. Qui, a -87m raggiungo quello che stabilisco essere, per quel giorno, il mio limite: ho ancora gas per proseguire, ma mi accontento di osservare la continuazione puntando lo sguardo verso una galleria ellittica che scende quasi verticale. Non immaginavo nemmeno di spingermi tanto avanti! Durante il tragitto di andata, ho compilato la tabella predisposta prima di partire dove l'itinerario era stato diviso in cinque settori di profondità e dove sono stati segnati i tempi di percorrenza prefigurati, per poter calcolare la decompressione durante l'immersione esplorativa. Il tempo che ho impiegato all'andata è di 28'. Inizio il rientro: la visibilità fino all'uscita, ormai è rovinata dalle bolle che scavano l'argilla sul soffitto ed in alcuni punti si riduce fino a due metri. Mi occorrono 16' per arrivare a -40m. Avendo usato una giclette, compio la decompressione utilizzando l'Aladin e modificando i tempi per le tappe profonde. Mentre me ne sto in forzato "dolce far niente" durante le tappe di decompressione, medito sulla probabilità di un possibile rinforzo della corrente e ad un'eventuale piena, esamino l'ambiente che mi circonda, saggio i punti dove è meno forte la spinta dell'acqua e aspetto. Sono molto soddisfatto di questa prima immersione e non vedo l'ora di uscire e preparare le bombole per l'esplorazione vera. Dopo 206' riemergo, mi guardo intorno: non c'è nessuno.Tranquillo e pacifico mi avvio a piedi, verso l'uscita. I compagni sono lì, il sole splende limpido, ma i miei programmi vengono immediatamente azzerati quando J.L.Camus mi racconta che, mentre io stavo a mollo dentro la montagna, fuori si era scatenato un temporale talmente violento da precludere, secondo la sua esperienza, qualsiasi ulteriore immersione. A malincuore riportiamo all'auto tutto il materiale, la carico e torno in Italia. Passano tre mesi e sul mio carnet i week-end sono già tutti riservati ad altre esplorazioni. Il tempo meteorologico in Italia rovescia acqua a catinelle sulle mie montagne e riempie le sorgenti, cosicché di nuovo il mio pensiero torna a Le Diable. Perché no? Telefono a Zdenek e a J.Jacques, telefono a Bigiar che a sua volta riesce a trovare Camus, Marc Cottin e, detto fatto, organizziamo il ritorno al Diable. Nel Vercors le condizioni meteo sono ottime, il livello della sorgente molto basso garantisce una corrente meno intensa e per me, meno difficoltà nell'avanzamento. Il quantitativo di bombole che trasportiamo sul posto è consistente, una trentina circa tra 20l, 15l e 12l. Penso infatti di effettuare, se possibile, un paio di punte: devo avere a disposizione quindi, il materiale per tutte le situazioni ipotizzabili. Il primo giorno è dedicato al trasporto di tutte le bombole al secondo sifone mentre J.Jacques si occupa di fare una ricognizione portando delle bombole cariche di ossigeno alle profondità previste. Il giorno seguente, mentre Zdenek e Bigear portano altre bombole all'interno del sifone, J.Jacques porta un relè di soccorso a -67m. Il terzo giorno quando tutto è pronto per la prima esplorazione, arrivano J.L.Camus e Marc Cottin a rinforzare l'équipe; il programma è così stabilito: userò un relè da 12l con una miscela iperossigenata fino a -40m dove è stata predisposta una bombola da 20l carica d'aria; da questo punto in avanti ho addosso 4 bombole da 20l. A circa -55m sgancio la bombola carica d'aria e proseguo respirando dalla bombola con il 20% di He; questa la sgancio a -70m. Mi restano le due bombole sulla schiena: respiro prima da quella carica al 30% di He e, raggiungendo il termine della vecchia esplorazione, attacco il nuovo filo d'Arianna. E' ora di cambiare erogatore: inizio a respirare dall'ultima bombola disponibile con il 50% di He e scendo. La galleria ha forma ellittica, è larga circa 5m e alta 1,5m. Mentre scendo a testa in giù, a circa -100m urto con il casco sul soffitto e mi si allaga la maschera: non vedo più niente; dopo l'impatto sgradevole con l'acqua fredda a 8° sugli occhi, riesco a fermarmi portando i piedi verso il basso e appoggiandoli al fondo; con la testa alta in direzione dell'uscita, svuoto finalmente la maschera. Ciò che mi è accaduto è una difficoltà imprevista e poco piacevole, sono gli incerti del mestiere. Controllo i manometri, vedo che posso continuare ancora, e dopo un attimo di esitazione riprendo la discesa. Poi mi sembra di vedere la galleria assumere un andamento orizzontale ma è probabilmente l'inconscio che così desidererebbe poiché, raggiunto quel punto, mi accorgo che è un falso allarme: continuo scendere fino a -115m e lì decido di terminare la mia esplorazione: pronto per continuare l'avanzata, abbandono sul posto lo svolgisagola da cui ho dipanato 60m. di filo, e inizio la risalita. La decompressione procede nel migliore dei modi con le visite ed i saluti, ad intervalli regolari, dei compagni che mi alleggeriscono del materiale ormai inutile ed interrompono la monotonia dell'attesa solitaria obbligatoria per le decompressioni nelle immersioni profonde: dopo 5h 40' riemergo. In seguito alla mia relazione valutiamo insieme le quote, le distanze, ecc. per preparare la prossima punta. Camus prende la bombola da 20l preparata da me (in immersioni di questo tipo ci si fida solo di se stessi) che userò come relè, e la porta a -70m. Io armeggio con il casco dandogli una sagoma appropriata alla maschera per evitare nuove cattive sorprese. Il quinto giorno, la vigilia, tutte le bombole per la decompressione, più qualche bombola di soccorso, sono in acqua, in totale 12: due bombole da 20l che mi serviranno per la progressione fino a -70m sono posizionate a -40m dove lascerò il primo relè, e le altre due, che terrò sulla schiena, sono già assemblate davanti al sifone. Il giorno seguente, quando mi sveglio, ho i pensieri proiettati verso le manovre da compiere sott'acqua; durante la colazione, mentre assaporo il mio pane burro e zucchero, riassumo con J.Jacques tutte le operazioni che si dovranno fare durante l'assistenza alla mia decompressione. All'ingresso della grotta mi preparo con la massima attenzione controllando che tutto sia collocato addosso a me nel punto migliore per funzionalità: non posso permettermi errori banali. Saluto con uno sguardo il cielo chiaro ed entro nel buio, verso il sifone. Ultimi momenti prima di partire, ultimi meticolosi controlli, tutto è perfetto: un cenno di saluto con la mano ed inizio a respirare sott'acqua. Mentre procedo, oltre al controllo dei minuti che scorrono, dei manometri, ecc., ho tempo per riflettere sul perché sto facendo una seconda esplorazione, su cosa mi spinga a cercare di conoscere ancora un pochino questa grotta e prima di concedermi le risposte, arrivo al cambio bombola ed i miei pensieri, per non perdere istanti preziosi, si spostano sulle manovre da compiere. Il gas, ricco di elio, che immetto nella muta, mi fa rabbrividire di freddo e mi ricorda per contrasto, le tranquille immersioni nelle calde grotte tropicali dello Yucatan. Arrivo ad un'altro cambio di bombola. Mentre percorro l'ultimo tratto con un relè caricato con il 50% di elio, vedo stagliarsi nitide le belle forme della condotta forzata (1,5m X 1,5m) che mi porterà fino a -87m. Adesso arriva il bello: osservo sull'orologio che sono passati 25' dalla mia partenza e considero che, secondo i miei calcoli, ne ho ancora 10' da impiegare nell'esplorazione senza incrementare pesantemente i tempi per la decompressione. Lasciato il relè a -87m, inizio a respirare usando le bombole sulla schiena; comincio con quella carica con il 65% di He e scendo tranquillo ed attento a -115m, il mio limite precedente. Lì c'è lo svolgisagola che mi aspetta: lo afferro poi, raggiunto il terzo di consumo, passo alla seconda bombola con il 70% di He: per questo ambiente apparentemente disponibile nella sua grandiosità, un grande senso di educato rispetto, mi guida mentre varco le soglie mai profanate della cavità. Tutti le domande precedenti sul valore e sul significato del ritornare ad esplorare, si dissolvono, quando assaporo il gusto della conquista di un territorio senza padroni ed anche il semplice svolgere ed il fissare il filo diventa un'operazione che sa di conquista e che mi elettrizza: sono rapito dalla sfida con me stesso e dove essa mi porterà, non ho il tempo necessario per indagarlo. Un'occhiatina ai manometri: vedo che ho quasi terminato il gas disponibile per la progressione e che mi trovo in un tratto orizzontale che si ingrossa rispetto al pozzo raggiungendo i 2 - 2,5m di altezza per i 5 di larghezza e misura una ventina di metri con un passaggio basso a -137m. Quando attacco il filo sulla roccia che ho scelto come termine, sono a circa -135m ma posso vedere che a qualche metro da me, la galleria riprende a scendere.Sono passati 8' dei 10' disponibili ma il gas è terminato ed ho steso altri nuovi 60m di filo. In risalita posso osservare con maggior attenzione la morfologia del pozzo, cosicchè noto un ramo che probabilmente si ricollega qualche metro sopra con quello da me percorso. Raggiungo il relè a -87m dove trovo anche le tabelle di decompressione, una rapida occhiata per vedere la profondità di inizio, -65m vedo anche iltempo totale di decompressione: 435'. Guardo un'ultima volta il pozzo: so che in quel momento l'esplorazione è finita, giro le spalle e ritorno. Prima di un'immersione, quando si avanza, la concentrazione è massima e l'attenzione è occupata dalle manovre da effettuare e dal nuovo ignoto che si sta per incontrare. Al ritorno le condizioni cambiano: i dubbi inascoltati all'andata, impongono al ritorno la loro voce. Si è di nuovo sulla via di casa, ancora molto lontani, è vero, ma su una strada già tracciata: pur mantenendosi sempre all'erta, il lieve rilascio dell'attenzione lascia spazio alla riflessione sulle proprie capacità di definire e sopportare un tale evento. La fiducia nella nostra resistenza psicologica, nella nostra esperienza di scavalcare gli handicap concreti della morfologia della grotta, è, in buona parte, già collaudata; purtroppo, quando si compie un'immersione profonda con percorso irregolare di quote e distanze, il problema con la soluzione più incerta è quello del calcolo dei tempi di decompressione. Sempre, durante le immersioni in grotte dalla complessa morfologia, sottoponiamo il nostro organismo ad una continua sperimentazione sulla saturazione e desaturazione dei tessuti; quando in più, dobbiamo utilizzare le miscele, complichiamo ulteriormente la faccenda. Così, risalendo, ho il tempo di chiedermi quale sia il margine di esattezza con il quale ho calcolato i miei tempi: la mia immersione è classificata come sportiva e non usufruisce di strutture tecnologiche professionali; le tabelle a mia disposizione sono calcolate per immersioni quadrate; io ho modificato le stesse valendomi delle mie conoscenze, appoggiandomi ai consigli di medici professionisti e di persone che ritengo competenti: in breve, sto sperimentando sullo sperimentale. Sott'acqua, aspettando che i minuti calcolati trascorrano, rimugino queste riflessioni, consapevole che, solo quando sarò fuori e nemmeno allora, avrò risolto con esattezza il problema. A causa delle lunghe soste di decompressione la visibilità si riduce a un metro circa. Recupero tutte le bombole relè e di soccorso che rimangono nella parte profonda, 3 da 20l, 2 da 15l e 1 da 12l portandoli fino a -30m dove trovo anche una bombola di argon per gonfiare la muta e stare più al caldo. Iniziano le visite dei compagni, tutto procede per il meglio. Le bombole mano a mano che si vuotano vengono recuperate tutte.Esco che ormai è quasi buio: ecco gli amici, ecco i gesti consueti del tempo normale che non occorre contare, l'aria che si può respirare a pieni polmoni. [Novità]
[News] [Dernières Nouvelles]
[Noticias] |