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GROTTA DI DIROS 2008
L’avventura inizia il 14 marzo: il traghetto da Ancona parte alle 19,30 e Patrick, mio compagno di viaggio, arriva da me all’alba di questa giornata. Carichiamo subito il furgone ed alle 12.15 partiamo. Naturalmente troviamo un po’ di traffico all’ingresso della tangenziale di Milano, poi per il resto, tutto scorre normalmente. Entriamo nella biglietteria del porto e ci annunciano che la nave è piena. Gulp! In questa stagione non ce lo aspettavamo: inizio a modificare la lunghezza del mezzo che da furgone diventa furgoncino, tanto che il mio interlocutore si scomoda per venire a controllarlo. Un colpo d’occhio e, come per magia, ci trova una sistemazione a bordo. Al mattino costeggiamo ancora la costa italiana: abbiamo una giornata piena di sole da goderci comodamente seduti sulla nave; il mare, dall’alto di questi giganti, sembra calmo tanto da non trasmettere particolari emozioni. Trascorriamo il tempo leggendo, scrivendo e traducendo in francese qualche testo per il mio sito e talvolta mi diverto ad osservare in lontananza le creste bianche delle onde scomparire inghiottite dalla massa blu del mare. Questa spedizione non è a carattere esplorativo ma documentaristico poiché siamo stati chiamati dalla televisione svizzera tedesca per organizzare e svolgere le riprese di un documentario sulla speleologia. Come al solito, prima di una partenza io avrei bisogno di almeno altri due, tre giorni per preparare le attrezzature, ma poi per fortuna riesco a terminare tutti i lavori in tempo. Questa volta sono alle prese con un nuovo giocattolino chiamato rebreather, che nei due giorni prima della partenza riesco a modificare. Il primo giorno sono da Parisi per recuperare delle fruste adattate in lunghezza alle mie necessità poi, per preparare gli spallacci a misura con degli accorgimenti a me graditi; posiziono una valvola di carico supplementare, costruisco delle protezioni per i tubi corrugati ed infine sigillo i buchini nelle mie mute. Rientro a casa in tarda serata, consapevole che il lavoro non è ancora finito cosicché la notte mi serve per pensare al montaggio ed alle ultime modifiche. Al mattino presto sono nel mio magazzino pronto a costruire una piastra d’acciaio inox, necessaria per applicare un bombolino d’ossigeno d’emergenza: saldatrice, flessibile, trapano, rendono possibile il lavoro. Alla fine mi rimane giusto il tempo di prendere e verificare le attrezzature necessarie alla partenza ed impacchettare il tutto; terminerò le piccole rifiniture nella giornata di domenica sul bordo del mare, a Diros. Come spesso accade le previsioni non sono corrette: un’ora di ritardo della nave, un’altra ora per uscire dalla stiva con il furgone, fanno sì che decidiamo di mangiare e di dormire a Patrasso con l’amico greco Nectarios. La domenica mattina ci mettiamo in marcia alla volta di Pirgou Dirou, che raggiungiamo verso le 13.00. Salutiamo il gruppetto di speleologi svizzeri arrivati ieri in aereo e dopo poco andiamo alle grotte per scaricare il furgoncino. Le guide, con le quali ho un po’ di confidenza, mi chiedono di Jean Jacques ma fatico a parlarne poiché in questi posti lui ed io abbiamo passato molto tempo insieme e, proprio nel mare qui di fronte, Jean Jacques ha imparato ad utilizzare il Recy 01 un circuito passivo. Ricordo che alla sua prima immersione in grotta con il circuito, non era a suo agio tanto è che, percorrendo in superficie la galleria che porta alla “Pantera”, avremmo dovuto esplorare a turno le gallerie allagate ma lui, non riuscendo a respirare bene continuava a lasciare che fossi io ad esplorare quelle che localizzavamo. Rientrando da un’incredibile galleria a pochi metri sotto il livello della superficie gli dissi - non puoi non andare a vedere questa meraviglia!- si fece coraggio e partì. Poco dopo a luci spente, lo seguii alla giusta distanza per usufruire delle sue luci senza farmi vedere. Una volta riemerso, dopo un centinaio di metri in una sala aerea, mi feci vedere e mi accorsi che rimase quasi stupito nello scorgermi. Il lavoro a Diros inizia: già mentre prepariamo una parte delle attrezzature, il cameraman si scatena con le riprese. Lunedì, mentre il gruppo si prepara ad andare nella galleria dei “Megalocechi” continuo le modifiche: smonto e rimonto le staffe, verifico la lunghezza degli spallacci, metto le protezioni ai tubi, ecc., e finalmente il mio nuovo Copis sembra, almeno dal mio punto di vista, un rebreather adatto a me. Non resta altro da fare che entrare in acqua e verificare che tutto sia ben regolato. In poco tempo mi preparo: decido di andare al “Grande Oceano” passando attraverso le gallerie allagate che transitano sotto il percorso turistico. La temperatura dell’acqua è di 17°. Inizio lentamente a percorrere la galleria, a -6m un check ai sensori poi giù fino a -23m, su a -9m e avanti per i saliscendi fino ad arrivare al “Grande Oceano”. Felice di rivedere quest’enorme pozzo mi lascio cadere nel vuoto, ma con gran dispiacere mi accorgo che l’acqua è lattiginosa e la visibilità è ridotta ad una decina di metri. Scendo fino a -60m, mi trovo di fronte ad una biforcazione, sagolata da Jean Jacques nel 1992, decido di risalire fino a -15m e, ritrovandomi nella galleria orizzontale, non rientro verso l’uscita, ma avanzo nella grotta; quando dopo qualche decina di metri vedo sotto di me un bucone nero e nessun filo che vi entra, penso che domani vi andrò a dare un’occhiata. Poco dopo esco in superficie nella galleria turistica. Torno indietro perché mi fa male la schiena forse a causa dell’errata regolazione dei sacchi contropolmoni, anche il boccaglio è da regolare poi tutto sarà quasi perfetto. Prima che gli altri escano dalla grotta, io già fuori, riesco a finire tutti i lavoretti ed a sistemare completamente le mie attrezzature. Martedì altra immersione di test: Patrick si aggrega per scattare qualche foto lungo il percorso. Andiamo al “Grande Oceano”, piccola discesa fino a -30m poi andiamo verso il pozzo nero che ho osservato il giorno prima. Patrick mi segnala che l’autonomia delle sue due bombole da 12 l. è quasi al limite, gli faccio cenno di proseguire piuttosto che rientrare attraverso i sifoni, perché in questa grotta ci sono diversi punti dove è possibile riemergere e noi ci troviamo ad una trentina di metri da uno di questi. Quindi Patrick rientrerà percorrendo per un tratto la galleria aerea ed io mi dedicherò all’esplorazione del pozzo. Vedo il flash della sua camera lampeggiare fino a quando mi infilo nel passaggio, poi in mia compagnia ci sarà solo l’argilla che mi segue per tutta la prima parte dell’immersione. Fortunatamente dopo pochi metri l’ambiente diventa decisamente diverso: tutto è concrezionato, l’argilla sparisce, l’acqua di mare la fa da padrona, qualche stalactite e stalagmite mi ostruiscono il passaggio, per cui impiego qualche decina di secondi per evitare di romperle e passare attraverso di loro. Ho paura urtandole, di rompere i sacchi contropolmone e sto molto più attento del solito nello strisciarci contro con il mio Copis. Strisciando, penso ad Aldo che meno di un mese fa mi ha consegnato una macchina nuova di pacca ed ora la stessa si sta già rigando: un inevitabile sorrisino spunta sulle mie labbra. Poco dopo la strettoia, raggiungo una saletta bianca bella, ma purtroppo senza prosecuzioni. La mia prima esplorazione con il nuovo rebreather non è male, è capitata per caso e l’ambiente scoperto è da sogno. Rientro osservando bene la zona ma, notando una galleria partire sulla sinistra, riattacco il filo e vi entro: risalendola mi ritrovo in un posto con molto sedimento argilloso e poco dopo sbuco in una galleria; sopra di me vedo un filo, lo scruto ed ecco a circa 7m da dove mi trovo, l’inizio del filo che avevo posato poco prima. Rientro nel torbidone per andare a recuperare una bombola lasciata a metà del percorso. Una nuova altra galleria mi attrae ed ancora il mio svolgisagola è pronto a svolgere il filo. Qui come prima, mi ritrovo in breve in un ambiente stretto che non mi permette di proseguire. Finalmente recuperata la bombola, salgo seguendo il filo che mi porterà, rimanendo in immersione, fino all’uscita della grotta. L’immersione in totale è durata 90’, ho percorso 100m di nuove gallerie ed oltre due chilometri di pinneggiata all’interno di spettacolari ambienti. Nel tardo pomeriggio arriva Edo che nei prossimi giorni si occuperà di riprendere alcune di queste gallerie. Edo ha con sé due rebreather diversi, un Oroboros ed un Buddy: utilizzerà il Boris (Oroboros) ed io incuriosito, osservo come prepara la sofisticata macchina per l’immersione. Mercoledì Edo inizia a preparare la telecamera nella custodia, un’attrezzatura da vero professionista: non mi aspettavo che tanta tecnologia potesse concentrarsi nello spazio di un bagagliaio. Finalmente entriamo in grotta. Carichiamo tutta la nostra attrezzatura sulla barca necessaria per percorrere la parte turistica ed una volta indossate le mute, c’indirizziamo verso la galleria Z dove siamo attesi dai due cameraman esterni e dal resto del gruppo, che si è organizzato per creare gli effetti luce. Dobbiamo recitare un pochino prima di entrare in acqua e salutare gli astanti ma, fortunatamente, il “gioco” non é faticoso ed è abbastanza corto. Iniziamo la lunga pinneggiata che ci porterà nelle parti più belle della galleria. Per le piogge invernali, il livello dell’acqua è almeno 10 cm. più alto del solito per questo siamo costretti a ripetute piccole immersioni per evitare le concrezioni nel tratto iniziale. Eccoci nel punto prestabilito: Edo accende i fari e verifica i comandi della telecamera ma uno non funziona; probabilmente l’aver montato la custodia di fretta, nella confusione di chi chiedeva informazioni, è stato fatale per commettere un piccolo errore di distrazione. Poco male perché possiamo in ogni caso procedere con il nostro lavoro. Anche il Boris ha un piccolo problema con un sensore, ma fortunatamente non è molto grave perché nell’immersione d’oggi raggiungeremo la profondità massima di -7m. Sembra che tutto sia contro di noi ma teniamo duro ed iniziamo: con noi abbiamo del gas in circuito aperto di sicurezza abbondantemente sufficiente per permetterci di fare diverse volte il giro che vogliamo percorrere. Alla fine del primo tratto allagato, Edo è esultante per la bellezza degli ambienti anche se a lui, è toccato vederli attraverso un monitor che, anche se d’ottima qualità, non permette di vedere a grandezza naturale. Continuiamo diritti attraversando una sala, poi penetriamo in gallerie semi strette che ci porteranno in un punto dal quale potremmo rientrare rimanendo in superficie. Ci troviamo in un labirinto di passaggi che ho memorizzato solo dopo diversi anni di esplorazioni e mi dirigo con disinvoltura da un filo all’altro, sapendo sempre dove finiremo: sbuchiamo, dopo oltre 200 m., nella galleria Z, poco lontano dall’inizio delle gallerie della “New Generation” ad una cinquantina di metri dal punto in cui siamo partiti. Quattro veloci chiacchere per decidere cosa fare: l’idea è di filmare l’ingresso nella galleria della “New Generation” ma uno dei due fari Hid della telecamera, non ne vuole sapere di accendersi. Non serve discutere: è giunto il momento di rientrare. Lasciamo sul posto le bombole d’emergenza e rientriamo pinneggiando in superficie, sempre respirando ossigeno dai nostri circuiti chiusi. Alla barca, ci spogliamo del pesante equipaggiamento, ricarichiamo e via, uno a prua ed uno a poppa, ci dirigiamo verso l’uscita. La curiosità di vedere le immagini è tale che, velocemente sistemiamo i circuiti e poi andiamo a vederle nel display della telecamera. A prima vista sembrano meglio del previsto perciò riprendiamo il lavoro di sistemazione e preparazione delle attrezzature per l’immersione del giorno seguente. Giovedì il programma è complesso: immersione nelle gallerie della “New Generation”, poi nella sala dei cristalli ed infine nella sala delle meraviglie: tre piacevoli immersioni a profondità comprese tra i -30m ed i -40m. Il copione è lo stesso ma questa volta non ci aspetteranno alla partenza gli addetti alle riprese esterne, quindi le operazioni saranno snellite. La telecamera ed il Boris oggi funzionano a meraviglia; un giorno d’ambientamento hanno fatto bene. Raggiunto il punto di partenza nella galleria Z, chiudiamo le mute poi, mentre ci vestiamo in acqua, percepisco un frescolino bagnaticcio entrare dalla cerniera nel punto in cui finisce la corsa del cursore; Edo da un’occhiata e quando mi giro a pancia in su vede uscire aria. Fortunatamente ho una seconda muta ed il cambio da mettere sotto: è vero che l’acqua ha 17° di temperatura ma preferisco avere vestiti asciutti a contatto della pelle. Edo mi aspetterà in grotta mentre io corro il più veloce possibile a cambiarmi. Dopo poco meno di un’ora sono di ritorno ma non avendo il tubo di raccordo della valvola per far uscire la pipì, se mi scapperà la terrò. La “dura” lotta di chi ha l’attrezzatura più funzionale è finita per ora uno ad uno. C’incamminiamo portando con noi altre due bombole di sicurezza perché le immersioni saranno con decompressione. Dopo una ventina di minuti di pinneggiata in superficie, raggiungiamo il punto stabilito ed iniziamo le riprese. Le colonne in questa sala sono maestose, giriamo intorno a loro per coglierne le peculiarità; m’infilo in buchi ciechi per scomparire qualche secondo all’obiettivo della telecamera e riapparire poco dopo. Al rientro, risaliamo in un pozzo ricco di cristalli di calcite fino a -3m. Di nuovo a -30m per ripercorrere la galleria fino al pozzo d’ingresso. Prima di risalire definitivamente, andiamo a fare un giretto nell’altro ramo della galleria “New Generation” che parte alla base del pozzo d’ingresso ma in direzione contraria. Qui le concrezioni si possono osservare solo verso la fine, mentre nel tratto iniziale si può notare la faglia che l’ha formata. Scendo a -40m in un pozzetto che non avevo notato durante l’esplorazione ed osservo che da un lato si collega ad un pozzo da me esplorato qualche anno fa, mentre dall’altro la galleria si perde nel buio: ora però non sono qui per esplorare ma per le riprese. Andiamo nelle altre due sale e risaliamo dopo poco meno di 60’ d’immersione, un po’ di decompressione ed eccoci fuori dall’acqua. C’immergiamo quasi subito per un tratto nella galleria che ci ha visto passare ieri e dove purtroppo, la visibilità è già compromessa: l’argilla, infatti, smossa ieri, è in sospensione nell’aloclino e rende scarsa la visibilità per i primi 3-4m di profondità. I vecchi fili sono ancora in buone condizioni perciò, senza esitare, raggiungiamo la prima discesa: andiamo giù fino a -35m e dopo aver ripreso qualche passaggio interessante, iniziamo la risalita. Un po’ di deco fino a -3m, poi ci spostiamo, sempre seguendo il filo, una ventina di metri più avanti ed eccoci sulla sommità di un nuovo pozzo che ci porterà a circa -30m nella “sala delle meraviglie”. Purtroppo abbiamo finito la luce dei fari e non possiamo riprendere nulla; un vero peccato perché la discesa in questa zona, da sola, vale il viaggio in Grecia. Gironzoliamo senza entrare nei passaggi stretti, osserviamo le varie morfologie e poi, per non accumulare troppa decompressione, risaliamo. Riemergiamo definitivamente dall’acqua dopo oltre due ore e, poiché siamo più carichi che all’andata avendo recuperato tutta l’attrezzatura, c’impiegheremo almeno una trentina di minuti di pinneggiata prima d’arrivare alla barca. Venerdì è una giornata più breve perché Edo ha il traghetto che parte da Patrasso alla volta di Bari alle 18.00. Il programma è riprendere Patrick mentre effettua una topografia sott’acqua e poi andare al “Grande Oceano”. Alle 10.00 siamo già pronti all’immersione, perché questa volta non dobbiamo percorrere un tratto a bordo della barca ma c’immergiamo direttamente dall’imbarcadero. Iniziano le operazioni di ripresa a poca distanza dall’ingresso del sifone, ed io m’improvviso addetto alle luci e con i miei 200W di potenza, secondo le condizioni della grotta e delle esigenze di ripresa illumino dall’alto, di lato o di fronte la nostra star. Dopo dieci minuti decidiamo di abbandonare le riprese riguardanti la topografia e cambiamo meta. Patrick in circuito aperto è costretto al rientro anche se avrebbe voluto seguirci. Edo ed io, raggiungiamo il pozzo del “Grande Oceano”; qui io mi lascio cadere lentamente verso il fondo, sfiorando bianche stalagmiti che sembrano due denti di Tricheco poi giù, fino a -60m, dove alla fine del pozzo, partono due gallerie di dimensioni certamente più strette. Un po’ d’evoluzioni giochi di luci ed il gioco è concluso. Ci avviamo verso la decompressione, ma una volta arrivati attorno ai -15m., rientriamo a pinne dalle gallerie allagate, per cogliere ancora qualche immagine della grotta ed arrivare abbastanza rapidamente all’uscita. Concludiamo l’immersione al novantesimo minuto. Velocemente con Patrick, aiuto Edo, già in ritardo, a portare le attrezzature fuori ed a sistemarle per partire il prima possibile. Giusto il tempo per i saluti. Per noi, il resto della giornata, è impiegato per caricare a nostra volta il furgone ed andare a vedere la parte che io conosco poco, della grotta all’asciutto. Ultima cena. Domani il gruppo si divide fra quelli che rientreranno in Svizzera in aereo da Atene, fra Vassili e Lakis che andranno a loro volta ad Atene ma lì si fermeranno, fra Patrick e me che andremo ad imbarcarci a Patrasso. L’attraversata si annuncia movimentata, le previsioni annunciano mare in burrasca forza 7, ma su questi mostri che solcano il mare non si percepisce molto il movimento dell’onda, che si traduce in un piacevole dondolio foriero di una profonda dormita.
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