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SORGENTE DELL'ELEFANTE BIANCO 2010
Sabato 13 Febbraio Domenica 14 Febbraio Lunedì 15 Febbraio La preparazione dei materiali è perfetta: siamo numerosi e tutto fila liscio tranne quando mettiamo in acqua il maialino rosa che, all’istante, inizia a perdere aria dal compartimento motore. Lo recuperiamo e lo sostituisco con il piccolo aquazepp equipaggiato con batterie al Litio. Ora finalmente è tutto pronto. Altra sorpresa quando mi infilo nella grossa muta adatta a questo tipo di immersioni: il neoprene del cappuccio e del collo si è irrigidito perché è da più di un anno che non la uso; vabbè, mi dico, in acqua si smollerà un pochino. Per lo stesso motivo fatico anche a chiudere la muta ma alla fine ci riesco e posso quindi terminare di prepararmi per l’immersione. Quando è tutto pronto, Mosè e Nadia mi anticipano in acqua, Mosè con la sua telecamera e Nadia con dei fari potenti adatti ad illuminare di taglio la scena. Inoltre Nadia deve portare una bombola da 12lt. di miscela respirabile a -30m visto che io avrò con me solo un’ipossica. Scendo lentamente per permettere a Mosè di seguirmi ed alla profondità di -75m mi fermo per caricarmi le altre 3 bombole. Il filo in questa prima parte è fissato decisamente male, ma mi devo accontentare di quello che trovo. Una volta caricatomi le bombole, mi giro verso il fondo della grotta ed inizio la discesa, trainato dal maialino. Anche in questo punto osservo uno strano modo di sagolare e penso all’incompetenza di chi ha sistemato in questo modo il filo. Raggiunti i -90m lascio la prima bombola, a -105m in cima ad un masso lascio la seconda bombola ed a questo punto riesco ad avanzare con facilità essendo molto più leggero. Poco prima della fine della galleria, a -120m, finisce il filo: penso ai soliti bugiardi che dicono di raggiungere profondità che rimangono solo impresse nei loro sogni; collego il mio filo con un nodo sicuro ma orribile a vedersi e mi rendo conto che la visibilità in questa parte di grotta è di non più di 7m. Scendo il pozzo ed avanzo scorgendo a tratti, spezzoni del mio vecchio filo ancora posizionato sul fondo. A -135m sono costretto a fermarmi perché un elastico che si è infilato nell’elica mentre annodavo il filo su uno spuntone roccioso, una volta riacceso il motore, mi ha bloccato l’elica. Non riuscendo a sbloccarla e, non volendo perdere tempo, lascio la bombola attaccata al filo, blocco lo svolgisagola ed inizio il rientro a pinne. Durante l’attesa della prima tappa in profondità, riesco a sbloccare l’elica ed a utilizzare il maialino quando praticamente non mi serve più. Trovo ad aspettarmi a circa -70m Mosè, che riprende una parte della risalita nella sala. Il resto della decompressione viene seguito dal Pifferaio mentre Boa e il Giardiniere si occupano di terminare i lavori alla campana. Quando riemergo dopo 3h11’, tutto è pronto, tranne per la parte profonda, per la decompressione della prossima immersione. Spiego a John come e dove ho lasciato lo svolgisagola e ritiriamo le nostre attrezzature prima che il buio ci sorprenda. Martedì 16 Febbraio Quando rientro a Valstagna, osservando le auto degli inglesi ancora parcheggiate alla sorgente, mi fermo e vado a vedere: John sta per uscire dall’acqua. Mi dirà dopo che ha raggiunto la profondità di -154m, ma che, avendo avuto anche lui qualche problema al circuito chiuso di emergenza prima della partenza, ha limitato la profondità. Mercoledì 17 Febbraio Riproviamo a portare in acqua il maialino rosa, concepito per raggiungere profondità di -220m. Speranzosi lo caliamo in acqua e non notiamo alcuna perdita: la sostituzione del pezzo ha funzionato. Con calma e con tutti gli attrezzi appositi, tornato a casa, controllerò la parte non funzionante ma, per ora la soluzione adottata è la migliore; con me ora tuttavia, porterò anche un secondo maialino ed una bombola da 20 lt. da lasciare per le emergenze, alla profondità di -160m. Come formichine, tutti lavorano per aiutarmi a preparare le attrezzature necessarie cosicché la mattina scorre veloce e l’ora giusta per l’immersione si avvicina; sono tranquillo e sereno, tengo la fascia del cardio ed il preservativo all’interno del piumino per riscaldarli un po’, mentre scelgo i sottomuta da utilizzare. Una volta entrato nella muta, non devo far altro che aprire le bombole del mio Copis-Meg, indossare tutta l’attrezzatura e lasciarmi cadere in acqua. Mentre mi attacco le bombole rélé, mi ricordo di non aver attaccato la frusta della muta e quella del gav e poiché con questa muta mi sento rigido come un baccalà, è più facile e veloce avvicinarmi a riva per farmi aiutare dal Giardiniere. Mentre tento di stare in equilibrio, appoggiando i piedi sul fondo per essere il più vicino possibile, scivolo, e poiché sbatto su una roccia, percepisco una perdita dietro di me, che prontamente il Giardiniere blocca chiudendomi il rubinetto del diluente; prova a sistemare il primo stadio e, poiché riaprendolo, tutto funziona, una volta allacciate le fruste, recupero le due bombole relé da 20 lt. Percepisco un’altra perdita alle mie spalle, torno a riva, mi metto in posizione comoda per i fedeli assistenti: sembra una perdita dal corrugato del gav. Questo è un altro piccolo problema fortunatamente non fondamentale. Avviandomi di nuovo, mi accorgo d’essere positivo, anche se, come rimugino, ho uno strato in meno di sottomuta e la stessa zavorra di lunedì. Torno ancora a riva per prendere una batteria e le cavigliere, dopo di che, finalmente scendo verso il fondo del lago e, lasciando le zavorre supplementari, mi dirigo verso Mosè che è in posizione per effettuare le riprese. Continuo lentamente fino a -30m dove prendo il maialino d’emergenza collocato da Mosè poco prima della mia partenza, lo attacco dietro al maialino che cavalco, e mi dirigo verso il fondo. Le luci di Mosè mi seguono per qualche metro poi, solo le mie luci illuminano la galleria. La visibilità nella parte profonda oltre i -105m, è di circa 4m. e, quando raggiungo i -136m, prendo la bombola da me lasciata lunedì e la trasporto fino a -145m. Pensando sia più comodo lasciare qui il maialino di soccorso, lo sgancio e l’attacco vicino alla bombola relé. Davanti a me, a -154m, lo svolgisagola. Lo sblocco e proseguo per altri 30m quasi orizzontali, fino al bordo del pozzo, dove lascio la bombola a -160m, e mi lascio sprofondare nel torbido dell’acqua. Al fondo del pozzo, che non riconosco, forse perché sono passati tanti anni o forse perché, la ridotta visibilità, m’impedisce di vederlo in tutto lo splendore eseguo un giro di 200° per trovare la prosecuzione, scendo nel buco per altri 2m ed eccomi nel tratto orizzontale. Avanzando attaccato al maialino, ascolto un rumore strano che suppongo siano gli attriti degli organi meccanici, mi sembra di perdere leggermente quota; arrivo in un punto dove la prosecuzione è appena verso sinistra, do un giro di filo su di uno spuntone di roccia che trovo, lascio lo svolgisagola e decido di tornare verso l’uscita. Ho continuato solo per una decina di metri, ma questa è solo un’immersione di preparazione per le prossime punte: i miei due profondimetri segnano cifre diverse -183m sul Vr3 e -189m sul Galileo. Alla base del pozzo arrivo con il maialino in 20’, e risalgo forse un po’ troppo velocemente, in un minuto circa, i 18m che mi permettono di raggiungere la galleria a -160m: lì c’è la bombola di sicurezza che, rifletto, in caso di piena difficilmente manterrà la posizione, non essendoci purtroppo posti, per sistemarla al riparo della corrente. A -145m quando mi fermo per recuperare il maialino di soccorso, mi sento positivo e non capisco il perché: per mantenermi in assetto, sono costretto a tenere le pinne orientate verso il basso. Accorgendomi di aver finito il diluente della bombola da 3 lt., so che non è un grave problema ma mi chiedo se la causa sia la perdita iniziale, oppure un lavaggio di troppo. Sostituisco la frusta del by-pass del diluente con la frusta di bassa pressione della bombola d’emergenza. Quando a -122m mi fermo per un deep-stop, essendo sempre più positivo, collasso la muta, recupero un chilo di piombo dal maialino rosa e, finita la sosta, percorro i cinquanta metri di galleria orizzontale in quota a circa –115m. Alla risalita finale, decidendo di non prendere delle bombole per avere del peso in più, ma preferendo mettere dei sassi nella tasca della muta, alzo lo sguardo verso l’alto e, senza volerlo, porto all’indietro più del normale il collo: mi sento girare la testa e mi do dello stupido perché sono consapevole che in acqua, e soprattutto in profondità, è meglio evitare questo tipo di estensioni; mi riprendo alla svelta e continuo a risalire. A -70m, attacco al filo i maialini che, senza le loro zavorre esterne, sono leggeri e li lascio risalire eliminando la loro spinta positiva su di me. Sono un po’ confuso ma, in un barlume di lucidità, provo a sgonfiare la sacca del GAV e con stupore mi accorgo che è piena d’aria. Sapevo dall’inizio dell’immersione che c’era una minima perdita dal corrugato dietro il capo. Come spesso faccio non ho utilizzato il GAV e pensando alla perdita nel corrugato non mi sono minimamente preoccupato di controllarlo. Un piccolo trafilamento di gas dal VIS e la perdita di quota sono stati sufficienti a causare il problema. Stacco la frusta del gav e risolvo il problema. La concentrazione sulla parte profonda dell’immersione mi ha fatto trascurare un dettaglio banale che si è trasformato in problema. Finalmente posso rimettere un po’ d’argon nella muta e continuare in pace la decompressione. A circa -50m., a Mosè che mi viene incontro con la telecamera, affido un maialino, lui mi prende anche il secondo, e tanto meglio così visto che a me non serve più. Se ne va e rimango solo nel buio della galleria, a -40m: mi sento strano, ho la nausea, sento dolori al braccio destro e una sensazione di paralisi nella parte destra della faccia. Allargo il cappuccio che mi stringe ma niente, scendo di qualche metro e mi fermo: devo modificare la mia risalita ed inventare una decompressione che mi permetta di risolvere il problema; avendo il rebreather con il mio maxi filtro radiale, posso permettermi di rimanere qui ancora diverse ore senza rischiare che il filtro si esaurisca e che si creino problemi d’autonomia di gas. I pensieri si accavallano e si intrecciano: vorrei in un attimo, uscire dall’acqua scappando da questo elemento che in questo momento mi sta stretto, ma so che, se dovessi commettere un errore del genere, il risultato sarebbe fatale. Devo resistere e concentrarmi: rifletto pensando al neoprene della muta che in questo anno di inutilizzo si è raggrinzito, pensando alla fatica fatta durante la risalita per procedere senza finire sul soffitto, pensando alla stanchezza accumulata durante i primi giorni di spedizione. Mi chiedo se ce la farò, fermo a questa profondità con questo problema, come riuscirò a riprogrammare ed a gestire la risalita. Quando arriva il Giardiniere, scrivo sulla lavagnetta: “non sto bene, ho la nausea, portami la batteria, le cavigliere e del thé”. Lui legge, riparte, e sono di nuovo solo; non cambia nulla perché è da solo che me la devo cavare, è da solo che devo scegliere la soluzione migliore. Dopo pochi minuti appare una luce, si avvicina, è Mosè; che ci fa qui, mi chiedo, mentre mi guarda interrogativo e mi segnala che rimarrà in mia compagnia. Quando il Giardiniere ci raggiunge, finalmente posso bere thé caldo; in un attimo svuoto la borraccia e ne chiedo ancora. Devo bere tanto, più del solito, ma voglio anche rimanere solo per concentrarmi meglio sulle mie sensazioni, senza distrarmi scambiando troppi messaggi: Mosè capisce, mi rimane a lato ed osserva, mentre il Giardiniere intanto, sale e scende per esaudire i miei desideri. Dopo una ventina di minuti la situazione si modifica: poiché la sensazione di paralisi alla faccia ed il dolore al braccio sembrano diminuire, risalgo qualche metro. Di nuovo una pericolosa situazione: inizio a sentire il formicolio alle gambe, segnale di un’embolia midollare. Non camminerò più mi dico. Attimi d’intensi pensieri. Aumento la pressione parziale nel rebreather fino a 1.5bar – 1.6bar e rimango fermo, immobile concentrandomi sulla respirazione; bevo thè ed ancora thè, mentre il caldo del giubbetto mi permette un ulteriore comfort; tuttavia non riesco a far pipì e questo è un brutto segno. Ed ora che succede? Caldo, un gran caldo alle gambe; le tocco e sento male quando schiaccio leggermente la mano sul quadricipite. Il tempo scorre lento ed i dolori ora, sono solo alle gambe, ma respiro meglio e sono più lucido: la paura mi fa rimanere ben vigile sulle sensazioni. Poi, quando il caldo sembra diminuire, sono passati solo 10’, riacquisto la fiducia che forse riuscirò a superare il problema. Ho ancora più di quattro ore di decompressione e chissà cosa potrebbe ancora succedere. Allo scadere di altri 30 minuti, sparisce il caldo, spariscono i dolori e, pur non essendo pronto per i 100m ad ostacoli mi sento meglio e percepisco lo stimolo tanto desiderato: riesco a fare pipì e quindi le parti basse ancora funzionano. Anche se i brividi percorrono il mio corpo, realizzo che sta andando tutto bene e che la crisi, per ora, è superata. Finito l’argon del bombolino, anche se devo solo risalire, me ne faccio portare ancora. E’ trascorsa un’ora da che ho iniziato ad avere i problemi ed in quest’ora sono risalito a -30m.: comincio ad avere un gran freddo. Un cambio di batteria al giubbetto che migliora leggermente le sue performance, un buon thé caldo che mi scalda dentro: non devo far altro che resistere almeno fino a -12m, dove entrerò in campana e starò certamente meglio. Quando raggiungo i -12m, sono passate circa quattro ore: tutto è pronto perché mi sono coordinato con Boa e il Giardiniere per ricevere assistenza al mio ingresso in campana. Anche se sembra andare tutto bene, voglio evitare il più possibile, movimenti bruschi nel togliere il rebreather: entro facilmente, mi sistemo sullo sgabello e, tentato di comunicare con l’esterno tramite telefono senza risultato, torno ad utilizzare la lavagnetta. Durante i 30’ che trascorro in campana a -12m, respirando ossigeno puro, all’esterno, non trovando il raccordo tra telefono e prolunga, modificano gli spinotti ed il telefono si attiva. Dopo i vari come va? Tutto bene? Serve qualche cosa? Mi sento dire: "Ciò Gigi, te toca pagar l’elicotero". Con la mente concentrata sul mio corpo, con la sensazione di essere più stanco del solito e ancora un pochino preoccupato, non realizzo bene la storia dell’elicottero: sarà uno scherzo. Al momento di andare a -9m., Boa si ripresenta puntuale ed inizia a fare risalire con il tir-fort la campana fino a posizionarla alla quota richiesta; 30 minuti ancora e poi, se tutto fila liscio, si procederà alla risalita. Fuori dalla campana appare quello che credo sia Mosè dal casco che indossa, e mi chiedo che ci fa ancora in acqua; lo osservo aggirarsi intorno alla campana come uno squalo che studia la sua preda. Lo tengo buono scambiando con lui, ogni tanto, degli scritti o delle attrezzature. Mi sembra anche un po’ svampito. Tra una telefonata e l’altra il tempo scorre, ed a -6m sono contento perché non solo non si manifesta nessun dolore, ma mi sto avvicinando alla superficie. Siccome questa giornata è di quelle che rimarranno impresse nella mia mente, come "dulcis in fundo", si rompe lo spinotto che collega il telefono della campana: ergo, rimango di nuovo senza comunicazioni con l’esterno. Poco male perché ormai non manca molto e la lavagnetta non tradisce mai. Riecco Boa, sono già passati altri 30’, si sale a -3m ancora mezz’ora e poi una risalita lenta fino alla superficie. Il fantomatico Mosè mi meraviglia sempre di più perché sembra non conosca il suo faro, eppure ora sto bene e mi sento lucido. Quasi finito: di nuovo Boa e Mosè mi accompagnano ad 1,5m dove rimango qualche minuto e poi su fino a -80cm; la campana si blocca e mi dicono che è finito il cavo d’acciaio. Non fa nulla perché scivolerò fuori dalla campana e mi lascerò catapultare, vista la mia positività (ho solo la muta e nessun peso), verso la sospirata superficie. Quando è il momento di uscire, sono passati 6h10’ ed in superficie ci sono accesi i fari dei Vigili del Fuoco e c’è molta gente. Mi avvio con calma verso il bordo della vasca e quando lo raggiungo, vedo Mosè con la telecamera che mi riprende. Mi chiedo, sempre più stupito ma come può essere già qui cambiato, se era alla campana con me pochi minuti fa. Uscito dall’acqua, mentre sto appoggiato ad un sasso, si stappa una bottiglia di spumante, me ne viene offerto un bicchiere ed anche se non vorrei, mi bagno le labbra, quanto basta per sentire il sapore. Come non partecipare alla festa? Quando lo pseudo- Mosè esce dall’acqua e si toglie il casco, mi accorgo che si tratta del Proteo: ora si spiega il tutto. Proteo mi chiede se l’avevo riconosciuto? Forse avrà percepito la mia stranezza, come io la sua, visto che ero convinto di comunicare con una persona diversa. Si chiacchiera dell’immersione e di tutto il bailamme nato all’esterno della sorgente poi, risalgo il pendio che porta alla casa dove teniamo tutte le nostre attrezzature. Oggi è andata bene, ma siccome fino a domani non sarò ancora tranquillo, controllo il mio organismo e tutti i movimenti che eseguo e le reazioni. Una scaldata con una doccia tiepida e finalmente, tutti affamati, ed io non sono da meno, si va a cena. Mentre si intrecciano chiacchiere e commenti, mi impegno nel bere molta acqua non gassata (di gas ne devo avere ancora troppo in corpo). Ci raggiunge più tardi Karsten, un amico speleosub tedesco, espressamente venuto per dare una mano e fare fotografie. Rick invece, avendo problemi di compensazione, rinuncia definitivamente alle prossime immersioni ed annuncia che, il giorno dopo, sbaraccherà e rientrerà. Personalmente ho ancora tempo a disposizione, ma voglio immergermi inizialmente solo per verificare quali saranno le reazioni del mio organismo sottoposto nuovamente a pressione. Giovedì 18 Febbraio Venerdì 19 Febbraio Sabato 20 Febbraio Domenica 21 Febbraio Ora, di nuovo leggero, di tutto, scendo per far un giretto all’ingresso della grotta con Laura, a -29m la sua nuova profondità massima in accordo al brevetto; poi vado alla campana a smontare le corde, a recuperare le bombole e tutto quello che vi è appeso, cosicché Proteo e Caramella possano smontarla più velocemente. Quando esco dall’acqua dopo 90’, la campana è libera, il narghilé, il cavo del telefono sono fuori. Con uno sguardo panoramico vedo che solo Nadia e Laura si stanno impegnando a trasportare le bombole dalla vasca della sorgente fino alle auto. Alla fine, mentre trasporto una bombola d’ossigeno da 50lt. all’auto, un pensiero di ammirazione va alla parte femminile del gruppo perché, mentre i maschietti si disperdevano nelle chiacchere, il lavoro pesante ed ingrato lo svolgevano le femminucce indomite. La mia memoria torna a Jim Bowden che aveva un team di donne: un caso? Sono triste ma solo un poco: il tempo meteorologico non mi ha favorito e porto a casa solo pochi metri d’esplorazione in più, tuttavia l’esperienza problematica che ho vissuto, mi ha maturato dandomi un giro di vite: la negazione, se ben meditata, può diventare positiva. L’Elefante non fugge, mi aspetta. Lunedì 22
febbraio: Martedì 23
febbraio
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