GROTTE DI OLIERO 2005
Cogol dei Veci
Il giorno 6 febbraio mi trovo di nuovo alle
Grotte di Oliero per andare con gli inglesi Rick Stanton e John Volanthen oltre
il sifone del Cogol dei Veci.
La giornata la impieghiamo a preparare le attrezzature che posizioneremo come
sicurezza nel sifone. Ciascuno di noi sarà autonomo, quindi ognuno si
trasporterà le proprie attrezzature di soccorso.
Io scelgo, essendo dotato di un solo circuito
chiuso, di mettere nel sifone tre bombole decompressive da 15l, che lascio
all’ingresso dello stesso, tre bombole da 20l cariche con miscele respirabili da
0 a -60; due le terrò con me ed una in compagnia di un maialino con 2km di
autonomia, la lascerò a 1600-1700m dall’ingresso.
Gli inglesi, dotati di doppio circuito chiuso, optano per qualche bombola da 10
e 20l e un maialino da lasciare nel sifone.
Il lunedì 7 andiamo in acqua per portare i materiali dove previsto e verificare
che il filo dell’anno scorso sia ancora in buone condizioni; io rimango dietro
agli altri perché non mi sono mai immerso in questa sorgente oltre i 200m di
progressione dall’ingresso e mi rendo conto che in alcuni tratti il filo manca
ed in alcuni altri è in pessime condizioni. Edoardo e Marc si occupano di girare
delle immagini video mentre Antonello si occupa delle foto. Ci pensa John a
predisporre il filo nei posti dove manca, mentre Rick va più avanti per
sistemare il filo più lontano. Essendo costretto ad avanzare lentamente a causa
del maialino di John decisamente più lento del mio, mi dedico ad osservare le
forme della galleria. Fabrizio mi posiziona la linea decompressiva.
La galleria è decisamente più regolare nelle sue dimensioni rispetto alla
galleria del Cogol dei Siori e sembra che la visibilità sia migliore. La
profondità massima raggiunta è di -57m per un breve tratto, poi il percorso
risale e si stabilisce tra i -40m e i -50m per circa 900-1000m. Attorno agli
800m, il cavo d’acciaio messo dagli svizzeri diversi anni fa sembra in buone
condizioni; supero John e vado a depositare il mio maialino di scorta e una
bombola da 20l a circa 1600m. Una corsa di un centinaio di metri più avanti per
dare un’occhiata e poi dopo 70’, non mi resta altro che rientrare. Raggiungo la
quota deco dopo 110’. Dopo 170’ riemergo. John e Rick riemergono oltre un’ora
dopo la mia riemersione. Rick è andato a 1900m mentre John si è fermato a
lasciare i suoi materiali a 1700m.
Il martedì 8 lo passiamo a preparare i
materiali per l’immersione che faremo mercoledì con una sosta di due notti
all’interno della grotta. Ognuno si porta, seppur selezionando il più possibile
per non aver cose inutili, il proprio equipaggiamento: sacco a pelo,
materassino, fornello, pentolino, cibi, batterie per le luci, ecc.
Mercoledì 9 il ritrovo alla sorgente è verso
mezzogiorno per le ultime operazioni: i preparativi per allestire il maialino,
il casco, il circuito chiuso, le luci, ecc. durano un paio di ore.
I due inglesi, che sono arrivati leggermente prima di me all’Oliero, partono
verso le 14.00, mentre io in tutta tranquillità mi immergo verso le 15.00. Mano
a mano che raggiungo i diversi bivi, osservo che i fili sono tutti collegati tra
di loro e non segnalano nessuna direzione di uscita: per prudenza, mi fermo a
posizionare degli elastici di riferimento.
In caso di un rientro in emergenza, quindi utilizzando il limitato circuito
aperto, non dovrò rimanere a perdere tempo per cercare di capire quale filo
scegliere per uscire; la memoria in questi casi, potrebbe essere impegnata a
risolvere altre situazioni e potrebbe tradirmi ricordandomi una direzione di
uscita sbagliata.
Dopo 57’ di progressione, vedo il mio filo
vicino a quello di Rick: ora conosco il punto nei Veci dove sono arrivato.
Avanzo ancora qualche metro e come per incanto la visibilità raddoppia: ci deve
essere un arrivo di acqua diversa da quella che percorre il sifone; dopo una
trentina di metri dalla congiunzione si vede l’aria sopra la testa e c’è ancora
traccia del filo tirato da Olivier Isler nel 94 Riemergo dopo 63’ praticamente
in compagnia dei due Inglesi; in questi casi un maialino rapido è un grosso
vantaggio.
Usciamo dall’acqua, sistemiamo le attrezzature, qualche breve scambio di pareri,
considerato il mio inglese maccheronico, e andiamo a preparare il campo base. Le
rocce della galleria sono molto scivolose: iniziamo a risalire sui massi fino a
raggiungere, la base di una parete alta 4m, sulla nostra destra un limpido
laghetto con un diametro di 7m circa. Con una facile arrampicatina risaliamo e
percorriamo la galleria che misura 15m di larghezza per un decina di altezza;
saltellando tra un masso e l’altro proseguiamo per una ventina di metri in
orizzontale prima di iniziare a scendere verso la spiaggetta che ci accoglierà.
Sopra di noi si vede una frattura che taglia perpendicolarmente la galleria, il
soffitto si alza notevolmente, non meno di 20m. La spiaggetta che ci aspetta non
è altro che uno spazio di ghiaia fine di 3X3m posizionato sul lato destro della
galleria. Pochi metri prima, da una galleria laterale sulla destra, arriva un
ruscelletto la cui acqua ci farà comodo per preparare le zuppe e il thè.
Lasciamo i bidoni con i materiali da bivacco, ci spogliamo della muta e dei
sottomuta pesanti, io indosso un paio di scarponi e una tuta speleo mentre loro
optano per un paio di calzari con suola. Iniziamo a trasportare i materiali da
immersione dalla fine del primo sifone al campo base. Dopo aver bevuto un thé,
continuiamo a portare a destinazione le attrezzature cioè dal campo base al
secondo sifone. Da qui la galleria è molto bella: il fondo è ricoperto di massi
per un tratto ma poi, dopo una cinquantina di metri, si arriva ad un laghetto;
lo superiamo risalendo sulle rocce qualcuno dal lato sinistro, qualcuno dal lato
destro. Oltre il laghetto, sulla sinistra, da una piccola galleria di 2m X 2m
che dopo pochi metri si riduce sempre di più, arriva un ruscelletto.
Eccoci di fronte a una specie di scalinata
offerta dalla natura, larga 15m, che risale comodamente a gradoni per qualche
metro e dalla cui sommità, girandomi, vedo le luci dei due inglesi qualche
decina di metri dietro di me che illuminano una serie di frastagliate erosioni a
balcone esattamente sopra il lago. Da qui la galleria prosegue per un tratto di
una trentina di metri sempre mantenendo la larghezza media di 15m e un’altezza
di 5m, il fondo è di roccia liscia, il colore è marrone chiaro, le erosioni si
sprecano ed ad ogni passaggio, mi diverto a notare ed a far paragoni fra le
varie forme che osservo. Oltre questa galleria raggiungiamo una zona molto
differente: una frattura taglia di netto la bella condotta, dinanzi a noi si
apre un pozzo profondo una decina di metri, in faccia un po’ a sinistra una
galleria di 4mX4m colma di fango, lunga qualche decina di metri; sulla destra
vediamo una galleria dal diametro di 5m, sopra di noi il soffitto si alza ad
almeno 15m.
Iniziamo a scendere il pozzo in libera con le sacche sulla schiena e non ci sono
particolari difficoltà tranne che si scivola maledettamente ed il pensiero
subdolo che una piccola slogatura in un posto come questo, potrebbe diventare un
gigantesco problema da risolvere. Giunti alla base del pozzo, superato un lago,
vediamo dei pezzi di filo probabilmente portati lì dalle piene; ancora una
piccola risalita ed ecco di fronte a noi il lago definitivo che ci indica che
siamo arrivati al secondo sifone: il lago è largo 15m, lungo almeno 20m; in alto
una ventina di metri sopra di noi sul soffitto, si vede una frattura che è
girata di 90° rispetto a quella che abbiamo visto sopra il pozzo.
Una volta completate le operazioni di trasporto dei materiali, ci inoltriamo
nella galleria sopra il pozzo che al rientro si trova sulla sinistra, la
percorriamo fino a raggiungere il campo base e non solo, gironzolando qua e là,
esploriamo delle gallerie che diventano sempre più piccole, fangose con rivoli
d’acqua: allora rinunciamo a continuare perché non ci possiamo permettere di
bagnare le tute che indossiamo. Comunque abbiamo percorso almeno 500m di nuove
gallerie asciutte.
Che ore si saranno fatte? chiedo, visto che sono senza orologio. John sbircia il
polso, ma ha ancora l’ora inglese e prima che finisca il conto, Rick ci svela
che sono le 21,30. Ora della pappa, time for dinner anzi, siamo anche in ritardo
rispetto al solito: ognuno si accende il fornello e si cucina le proprie pappine
liofilizzate. Finita la cena, ci si prepara per andare a nanna: materassino,
sacco a pelo e telo termico per me, mentre i due inglesi, al posto del telo
termico, utilizzano un sacco da bivacco. Prima di spegnere le piccole luci
frontali a led guardo lo scuro soffitto: la luce che illumina le goccioline
d’acqua sul soffitto, crea degli strani riflessi; ogni tanto sento cadere sul
sacco a pelo qualche goccia, gli occhi mi si chiudono, spengo la luce; anche i
miei due compagni di avventura fanno lo stesso. Così, cadiamo nel nero buio, il
più nero tra tutti quelli che nell’ambiente esterno si possano trovare ed unico
rumore, l’acqua scorrente del ruscello .
Una lunga dormita e ci svegliamo verso le
dieci del mattino, sempre al buio pesto; ho un dolore al ginocchio sinistro,
dovuto ai legamenti infiammati da qualche scivolata di troppo durante il
trasporto dei materiali. Prepariamo la colazione, il breakfast, poi via, ognuno
verso il proprio obiettivo: i due inglesi al secondo sifone, mentre io
zoppicante torno al primo sifone perché voglio andare a vedere alcune gallerie
nella zona della congiunzione tra i due sifoni: Siori e Veci. Fortunatamente
posso chiudere la muta da solo in tutta semplicità, perché da queste parti non
posso contare su nessuno; sistemo le attrezzature e prima di indossare il
circuito, verifico i sensori di ossigeno. Tutto in ordine: mi vesto e con una
breve pinneggiata raggiungo il maialino e via. Eccomi arrivato al filo che ho
steso qualche settimana fa provenendo dai Siori: lo seguo e raggiungo il punto
dove ricordo di aver visto una grossa finestra. Come l’altra volta sorprendo un
raduno di Protei; scendo dal mio fido propulsore, attacco il filo e inizio a
pinneggiare. Dopo una decina di metri vedo di nuovo il filo di Rick e ciò
significa che sono ancora nella galleria dei Veci. Recupero tutto e mi porto nei
pressi del secondo punto di esplorazione che si rivela una ennesima congiunzione
con il sifone dei Veci. Non mi resta altro che rientrare osservando per benino
tutte le pareti e non trovando nulla di percorribile. Rientrando, trovo Edoardo,
venuto trovarci, che sta finendo la decompressione; riemersi, uno scambio di
parole mentre ci spogliamo delle attrezzature, poi andiamo insieme al campo
base.
Edoardo ci ha portato in dono due lattine di
birra ed io, per festeggiare l’ospite, preparo un thè come si conviene in queste
circostanze. Dopo un po’ di tempo arriva John, che racconta della sua
immersione. Accorgendosi che si è fatto tardi, Edoardo saluta e se ne va solin
soletto, verso il sifone, mentre noi iniziamo a mangiare; di Rick nessuna
traccia, tanto che ci mettiamo nel sacco a pelo ad aspettarlo. Mentre si
sonnecchia, sentiamo dei passi e lo vediamo arrivare. Racconta della sua
immersione dapprima in inglese incomprensibile poi, da vero gentlemen fa un
riassunto parlando un inglese elementare sufficiente per farmi capire: la
lunghezza del secondo sifone è di 1.090m (le dimensioni in alcuni punti sono
addirittura maggiori che nel primo sifone), la profondità massima è di 50m, la
media è di circa 30m; superato il sifone ha trovato circa 200m di gallerie
asciutte con un diametro di circa 8m, ha risalito un paio di cascatelle per poi
fermarsi sotto un’enorme pozzo dal quale cade acqua ed è presente una forte
circolazione di aria fredda. Nel secondo sifone, sia lui che John, hanno visto
una specie di crostaceo che non avevano mai visto in altri posti; verso la fine
del secondo sifone invece, ha visto quattro o cinque Protei. Nessuna
prosecuzione è evidente per cui ci chiediamo da dove possa arrivare tutta
l’acqua che esce durante le piene. L’unica cosa che possiamo ipotizzare è che,
le gallerie dove ora stiamo riposando, quando la grotta va in piena si allaghino
completamente. Rick mangia, poi rapidamente si infila nel sacco a pelo e tutti
siamo pronti alla nostra ultima notte assaporando la magia del silenzio e del
buio.
Ci svegliamo come di consueto, non molto presto, verso le 9, perché tanto qui
non ci sono albe che ci possono illuminare. Consumata la rituale colazione,
andiamo a recuperare le attrezzature dal secondo sifone e le portiamo al primo;
il dolore al ginocchio non diminuisce e sono costretto a camminare zoppicando.
Ho già preparato i miei bidoni quindi, appena finito di dare una mano, mi
preparo per rientrare: un saluto e mi metto in acqua.
Attraverso il sifone con le due sacche speleo contenenti i bidoni al rimorchio,
le due bombole da 20l attaccate su di me, e quando raggiungo il maialino e la
bombola li attacco a rimorchio del rimorchio e via; dopo 75’ riemergo portando
in superficie anche le 3 bombole da 15l che avevo previsto come sicurezza per la
decompressione. Uscito dall’acqua, incontro Ennio, la squadra dei Vigili del
Fuoco Sommozzatori di Vicenza che passando da queste parti è venuta a salutarmi
e, quando mi sono cambiato d’abiti, arriva anche Jean Jacques.
Mentre sistemo le attrezzature e strumenti vari, Francesco recupera la montagna
di materiale che ho lasciato in acqua.
Gli inglesi, riemergono dopo diverso tempo e la loro attraversata è di 150’.
Come fare a chiudere questa piacevole esplorazione? Naturalmente con una gustosa
abbondante cena da Decimo, che non solo ci permette di assaporare del cibo vero,
ma ci permette anche di brindare con del buon vino e dopo il dolce, qualche
bicchiere della sua famosa grappa con fragoline di bosco.
Partecipanti:
Antonello Paone Italia
Domiziana Troiani Italia
Edoardo Pavia Italia
Fabrizio Capaldo Italia
Federico Reggimenti Italia
Francesco Boaria Italia
Luigi Casati Italia
Marc Elliot Inghilterra
John Volanthen Inghilterra
Josè Lamblelet Svizzera
Rick Stanton Inghilterra
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