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GROTTA DI VALL'ORBE 2015
Dopo veramente tanti anni, durante i quali per motivi diversi, le esplorazioni erano state rimandate, annullate, pur rimanendo vivo nel cuore, il desiderio di proseguirle, mi ritrovo davanti all’ingresso delle Grotte di Vall’Orbe. I colori dell’autunno incorniciano l’ingresso turistico della grotta di Vall’Orbe considerata una tra le più belle grotte turistiche della Svizzera grazie ai suoi saloni concrezionati e il fiume scrosciante sotterraneo che vi scorre all’interno. Le esplorazioni della sorgente iniziarono nel 1893 quando il subacqueo Pfund, equipaggiato con uno scafandro, raggiunge i -11m di profondità. Dopo una serie d’immersioni negli anni 50/60 si supera il primo sifone e si scopre una prima serie di gallerie asciutte decorate da concrezioni che ambienti molto suggestivi. Dopo una serie di lavori di scavo nel 1974, le grotte di Vall’Orbe vengono aperte al pubblico. Come spesso avviene, i rapporti tra la gestione turistica della grotta e gli speleo sub, impazienti di continuarne l’esplorazione, non furono molto pacifici tanto è che per esplorarla, per bypassare l’ingresso principale molto più comodo, si penetrava partendo dalla sua sorgente, superando un primo sifone lungo 294m e profondo -25m. Dopo una serie di gallerie e sale, passaggi esposti sulla parete e zone completamente spalmate sul fondo con un fango pastoso pronto a risucchiare come una ventosa, gli stivali degli speleo, si raggiungeva il cosiddetto Sifone dei Blocchi Numero Due. Fortunatamente fu trovato un passaggio alternativo che permetteva di evitare la prima immersione nel Sifone dei Blocchi Numero Uno. In seguito ad un incidente senza gravi conseguenze, si riaprì un dialogo con l’ente che gestiva l’ingresso turistico delle grotte, e si ottenne il permesso di entrare dall’ingresso turistico. Fu un grande guadagno in ordine di tempo e fatica. Senza l’ostacolo del primo sifone da superare, anche gli speleologi sono in grado di entrare e aiutare gli speleo sub a trasportare i materiali fino al Sifone dei Blocchi Numero due. Per fare questo pezzo, s’impiegavano circa un paio di ore. Dopo il sifone si cammina, o forse sarebbe meglio dire si scivola, in gallerie asciutte fino al raggiungimento del sifone Désespoire da dove partiranno le nuove esplorazioni di quello che si rivelerà un sistema complesso. Vall’Orbe, in quegli anni passati, ha visto tra gli esploratori, alcuni tra i più forti speleosub di sempre fra cui C. Brandt, O. Isler, ma è solo nel 1991 che J.J. Bolanz riesce a superare il sifone del Désespoire che risulta lungo 200m e profondo, secondo il livello variabile dell’acqua, mai meno di -55m. Nel 1993 Jean Jacques mi chiese di partecipare alla sua esplorazione. Eravamo nella stagione invernale e, a causa della temperatura dell’acqua di 2-3° i problemi agli erogatori che si bloccavano in erogazione continua, erano all’ordine del giorno, cosicché decidemmo che fosse meglio aspettare una stagione più clemente con una temperatura dell’acqua più ragionevole. Le esplorazioni allora erano molto faticose e impegnative e duravano in media una ventina di ore. Le attrezzature da trasportare, erano numerose considerando che superavamo il sifone dei Blocchi Numero Due (50m. a -6m) in quattro o cinque speleo sub. Si arrivava al Désespoire, e si scendeva il pozzo di poco più di 20m con tratto finale di dieci metri completamente verticale, e sicurezza al limite. Si scendeva con storiche scale speleo e il bibo da 12 l. sulla schiena, già equipaggiati per l’immersione perché, una volta raggiunta la superficie dell’acqua, si era già a bagno in un lago, senza possibilità di rocce cui aggrapparsi. Solo chi ha provato usare le scale speleo comprende cosa significhi scenderle e salirle. Noi lo facevamo indossando la muta stagna e cinquanta chili di attrezzatura. Nei tratti dove la scaletta si appoggiava sul fango scivoloso si riusciva a gestire la fatica fermandosi anche a riprendere fiato ma, nel tratto verticale nel vuoto, solo la testardaggine ci aiutava. Aggiungendo che la scarpa della muta era cedevole e senza grip, il gioco “aumenta la fatica” era fatto. Con il passare del tempo e con la previsione di esplorazioni sempre più avanzate, venne installata una scala rigida e una piattaforma dove prepararsi con calma e tranquillità. Successivamente si installò anche una pompa per abbassare il livello del Sifone dei Blocchi Numero Due e attraversarlo come si farebbe per un lago a bordo di un canotto. Così gli speleo ora possono raggiungere il famigerato Désespoire. Tutte queste migliorie e i nuovi materiali hanno abbattuto tempi e fatica: le 20-22 ore per raggiungere il fondo di un tempo, si sono ridotte a poco più di 10 h. Le condizioni della grotta quest’anno promettevano bene. Ho aspettato più di una settimana in attesa che la pompa abbassasse il livello del sifone, poi Giovedì 22 ottobre nel tardo pomeriggio, raggiungo Vall’Orbe dove mi incontro con con Josè, Nathalie, Patrick e Stéphane per fare un primo trasporto di materiali fino al sifone dei Blocchi Numero Due. Ho preparato le sacche speleo a casa, quindi siamo subito pronti per entrare in grotta e raggiungere il punto prefissato. Della grotta non mi ricordo un gran che, ma percorrendone le gallerie, affiorano i ricordi di anni di fatiche e di soddisfazioni condivise con amici veri. Le arrampicate sono ora agevolate da pioli fissi e addio pareti lisce e scivolose di un tempo; in alcune gallerie ricoperte di argilla, ci sono passerelle, in altre, tavole di legno per evitare di sprofondare nel fango e tutto ciò fino a arrivare alla pozza d’acqua che è l’inizio del sifone dei Blocchi Numero Due. La pompa è in funzione da lunedì ma il sifone è ancora alto e il passaggio è ancora chiuso: con il canotto si può fare un giretto fino alla parete che scende sotto il livello dell’acqua e basta. La pompa è nuova e forse ha una portata inferiore dell’altra, ma anche la tubazione che permette di scaricare l’acqua nel sifone dei Blocchi Numero Uno, è messa molto alta creando un dislivello limite per la pompa. La tubazione é stata sistemata alta per evitare rotture durante le esagerate piene che in condizioni di piogge inondano la grotta. Le previsioni danno tempo stabile; quindi modifichiamo la tubazione e guadagnamo oltre due metri di dislivello, cosi che la pompa possa lavorare meglio. Svolgiamo il tutto il nostro lavoro in poco più di due ore. Il venerdì ritorniamo a verificare il livello convinti di poter ormai trasportare tutto il materiale al Désespoire, ma il sifone non è ancora vuoto. Ritardiamo le immersioni di un giorno. Il Sabato, entriamo in grotta con l’idea di portare tutto al Désespoire e di preparare le attrezzature per l’immersione di Domenica ma al Sifone dei Blocchi Numero Due, amara sorpresa: il sifone è aperto ma non si riesce a passare perché il passaggio è troppo basso. A aiutare c’erano anche Alain Vuagniaux e Philippe Schneider due pionieri della speleologia subacquea Svizzera e della grotta di Vall’Orbe. Martedì è il nostro giorno limite perché poi, ognuno di noi ha degli impegni inderogabili e ognuno di noi, seguirà la sua strada lontano da Vall’Orbe. Dobbiamo entrare Domenica e fare tutto in una volta e così facciamo. Alle nove ci troviamo all’ingresso. Al sifone, finalmente il passaggio che si è creato, permette ai canotti di arrivare dall’altra parte. Vi carichiamo dodici sacchi e li trasportiamo dalla parte opposta. A causa della loro instabilità, non manca chi cade nel lago e si bagna completamente. Finito il trasporto dopo un paio di ore, eccomi di fronte al Désespoire con un’ondata di ricordi che affiorano nella memoria. Dedico qualche minuto a fissare il pozzo scuro e a rivivere le emozioni non immune da rimpianti e nostalgie. Ritorno al presente e mi preparo. Jean Jacques non c’è più quindi sono io che oggi parto per primo; l’amico Stéphane che non si è mai immerso qui, mi seguirà. Le attrezzature sono pronte sulla piattaforma e io scendo sul bordo dell’acqua: non ricordo di avere mai visto il sifone così limpido e attraente, condizione determinata dal lungo periodo di siccità. C’è ancora il filo messo da Jean Jacques che scende nel buio. Spero sia ancora collocato fino al punto chiave del sifone dove, causa le torce meno potenti di allora e la visibilità molto più scarsa, avevamo rinunciato a alcune esplorazioni non ritrovando più un passaggio in precedenza percorso. A -30 m. sento l’acqua entrarmi in bocca: qualche cosa non va sul mio circuito chiuso laterale. Non voglio rientrare invalidando il lavoro fin qui sostenuto, perciò decido di continuare perché il rischio è minimo: nel sifone ci sono due bombole di emergenza da 7 l. e appese a me, tengo una bombola da 12 l. più un bibo da 7 l. che dovrei usare per superare il secondo e il terzo sifone. Arrivo al restringimento: vedendolo con una miscela ternaria non sembra poi così stretto. Una volta, quando si scendeva ad aria, a -55m., con un metro di visibilità, affaticati, la fantasia galoppava alla grande. Ora posso vedere bene il passaggio, lo supero e finalmente inizio a risalire verso la superficie, aggirando i massi che mi ostacolano. Esco dall’acqua, sistemo le attrezzature in attesa che Stéphane mi raggiunga. Arriva dopo quasi un’ora e nell’attesa, stando fermo, mi raffreddo, rabbrividisco e non vedo l’ora di partire per il secondo sifone così da riscaldarmi con il movimento. Il percorso che seguiamo è impegnativo: impressionante risalita nella “Salle du 700 Colchique” labirinto di massi grossi come case che confondono i passaggi, argilla ovunque che rende scivoloso il percorso, macigni instabili che s’inclinano sotto i nostri piedi; giocoforza stiamo in campana perché un incidente è complicato da risolvere. Proviamo qualche discesa tra le rocce finché troviamo la via giusta e superando un piccolo torrente impetuoso, siamo in vista del secondo sifone. Stéphane ha trasportato le mie bombole da 7 l., io il resto dell’attrezzatura con i piombi che serviranno Martedì. Scendo nel sifone pinneggiando contro una forte corrente. Questa, a tratti, diventa fastidiosa e bisogna fare attenzione a non essere spinti nelle anse del sifone perché sarebbe difficile uscirne. Stéphane ritorna al Désespoire per recuperare le due bombole da quattro litri che utilizzerà lui martedì per superare il secondo e il terzo sifone aiutandomi poi nel trasporto alla sala del Millènaire. Io supero il secondo e subito dopo, il terzo sifone. Poso l’attrezzatura e vado a vedere il percorso per memorizzare i passaggi. Al rientro, a favore di corrente, sono un missile. Stéphane é lì e insieme sgranocchiamo una barretta energetica per ristorarci un po’. Torniamo al Désespoire. Anche ora parto per primo respirando sul rebreather che immancabilmente mi caccia in bocca acqua a bicchierate. Gestisco il tutto mantenendo la posizione ideale per evitare di bere ma, nel restringimento a -55 m., m’incastro su uno spuntone; il tempo di gestire la situazione e mi ritrovo a non respirare più a causa dell’acqua che ha allagato il reb; con qualche difficoltà, passo a respirare sul bibo già usato da 7 l. caricato ad aria e inizio la risalita. Non capisco la causa del malfunzionamento perché, i controlli fatti al rebreather prima di immergermi, sia all’andata che al ritorno, non mostravano perdite, e nemmeno nelle immersioni test eseguite precedentemente al lago, non si erano mai verificate infiltrazioni. Medito seriamente sul da farsi e, considerando che c’è ancora solo l’immersione di martedì, che ci sono le bombole di emergenza al sifone, e che non abbiamo portatori a disposizione, decido che passerò il sifone con il circuito aperto che è già sul posto. Usciamo dalla grotta portando fuori il più possibile delle attrezzature che non servono più. Tempo totale 10h 30’: Eric Taillard, Josè Lamblelet, Kwenani Bolanz, Michael Valz, Nathalie Balmer, Nicolas Andreini, Patrick Deriaz, Stéphane Girardin e il sottoscritto. Un bel gruppetto soddisfatto della giornata e molto affamato che per la prossima ora, pensa solo di andare a riempirsi la pancia. Martedì arriva e, alle nove, José, Stéphane e io, all’ingresso della grotta, ottimisti e decisi, ci carichiamo un sacco per uno, con mute, batterie, cibarie, e tutto ciò che serve, velocemente superiamo la parte turistica, quella speleologica, il lago e di nuovo, scivoliamo sull’argilla prima del Désespoire. Una bella sudata per tutti e, aspettando che si asciughino i sottomuta, prepariamo le cose che ci serviranno. José si occupa di trasportare sulla piattaforma, un po’ di roba e di darci assistenza per la partenza. Siamo leggermente in ritardo sulla tabella di marcia. Parto per primo: mi fiondo giù a velocità sostenuta, seguendo il filo d’Arianna nel gigantesco pozzo, risalgo, e riemergo in 8’. Mi tolgo le attrezzature e preparo il materiale da trasportare al secondo sifone. Ecco le luci di Stéphane che arriva e illumina la vasca nera con un caleidoscopio di luci. Anche lui si libera delle attrezzature, riordinando il materiale. Io prendo una sacca speleo e Stéphane il bibo da 7 l. Il percorso per raggiungere il secondo sifone ci sembra più corto perché abbiamo ben memorizzato la traccia e l’entità degli ostacoli. Giusto il tempo di assemblare le attrezzature e ci immergiamo nel secondo sifone. Rimanendo in acqua e contrastando la corrente arriviamo a pochi metri dalla partenza del terzo sifone. La corrente troppo impetuosa del torrente ci costringe a uscirne. Entriamo di nuovo e superiamo il terzo sifone, lasciamo le attrezzature di Stéphane su una spiaggetta e ci incamminiamo verso il quarto sifone. Di nuovo una risalita di oltre 40m di dislivello su massi meno scivolosi, più stabili ma pur sempre faticosa. Dalla cima possiamo ammirare la gigantesca sala, notando che i massi in terra sono chiari mentre in tutto il resto della grotta, la roccia è molto scura. Scendiamo verso il sifone e a pochi metri dall’acqua osserviamo una lama di roccia larga 30cm ma lunga e alta oltre il metro e mezzo conficcata nel terreno: sul soffitto rimane la traccia da cui si è staccata. Quarto sifone tutto da esplorare, di forma triangolare con una discreta corrente in uscita: l’acqua sembra meno limpida che nei sifoni precedenti. Relax minimo, una barretta per fare tacere lo stomaco, e mi preparo per questo bel nuovo sifone a sorpresa. La superficie dell’acqua mi si chiude sulla testa e dopo 30 m. a -2 m. sott’acqua, la superficie si riapre. Nuoto per trenta metri in un lago, finché raggiungo una zona asciutta ingombra di grossi sassi. Attacco il filo, mi spoglio delle attrezzature e, camminando a zig-zag tra i massi, seguo il fiume che scorre sul lato sinistro di una galleria di circa venti metri di larghezza per un minimo di cinque di altezza. Nuovo sifone, il quinto. Torno indietro a recuperare il materiale per l’immersione e stimo, contando i passi, una quarantina di metri di galleria asciutta. Scendo nel mio quinto sifone, che ha una corrente piuttosto sostenuta. Dopo una trentina di metri, le pareti laterali si allargano come in una sala. Mi domando da che parte scegliere di proseguire. Vorrei indovinare al primo tentativo per cui, osservando le morfologie della parete alla mia destra, scelgo di andare a sinistra, anche se rimane il dubbio che di fronte a me, la galleria potrebbe continuare. La scelta si rivela azzeccata perché il sifone continua per altri 70 m. a una profondità massima di -14 m., terminando in una saletta. Uscire non è semplice perché ci sono grossi pietroni che formano un muro. Allungo lo sguardo per capire se, sopra i massi, la galleria continua e, ciò che intravedo fa ben sperare. Ora di tornare: attacco il filo, dietrofront, raggiungendo Stéphane dopo circa un’ora. Proviamo a scattare qualche foto, ma abbiamo poca luce e in ambienti cosi vasti, poche sono le possibilità di riuscita. Al bivio, prima di proseguire verso il terzo sifone, facciamo una breve deviazione per un’occhiata, verso il sifone che aveva esplorato Jean Jacques nel 2000. Prima di affrontare il tratto che ci porta al Désespoire, breve stop per ingoiare qualcosa di mangereccio, poi io porto il bibo da 7 l. e Stéphane le bombole già usate da lui. Gran finale con il Désespoire di fronte a noi: ci prepariamo insieme ma parto per primo perché sono più veloce così, quando anche Stéphane avrà superato il sifone, sarò già fuori dall’acqua e la piattaforma libera. Riemergo accorciando ancora di un minuto il tempo di prima e sulla piattaforma, subito Marc mi aiuta. Come previsto anche Stéphane arriva puntuale alla piattaforma. Raccontiamo velocemente dell’esplorazione e prepariamo i sacchi da trasportare all’esterno. Il mio bibo sulla scaletta me lo porto io. Siamo in otto con 13 sacche: qualcuno purtroppo dovrà portare un paio di sacchi o fare due viaggi. Sia Stéphane che io usciamo indossando la muta così evitiamo altre sacche; siamo tutti indispensabili al trasporto e quindi, con passamano, portiamo tutta la roba oltre il lago e il restringimento di argilla. Con il mio bibo sulle spalle, raggiungo l’uscita della grotta e con me, arrivano tutti belli carichi di attrezzature. La soddisfazione di aver collaborato alla riuscita di questa impegnativa esplorazione dipinge sorrisi sui volti di tutti. Stavolta il totale del tempo impiegato è di undici ore. Le ho vissute intensamente anche più del solito, perché mentre esse scorrevano, in parallelo scorreva anche la mia passata vita da speleo sub, dagli albori quando avevo 22 anni e mi immergevo nella sorgente con il mio mentore Jean Jacques e poi Patrick e altri amici svizzeri e francesi, fino ad oggi a 51 anni con un consistente bagaglio di esperienze sempre utile. La grotta di Vall’Orbe per me, al momento presente, ha un senso non solo come risultato esplorativo, come promessa di continuazione nel futuro, ma anche come traccia indelebile di un significativo passato. Chantal Bolanz, Josè Lamblelet, Marc Jenoux, Nathalie Balmer, Patrick Deriaz, Roben Lamblelet, Stéphane Girardin e il sottoscritto.
Grotte di Vallorbe (Topografie)
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